Spartathlon: correre nella leggenda
Fascino a non finire per questa gara. Mitologia, battaglie memorabili, gesta epica di eroi che conosciamo fin da quando eravamo bambini. Questo ci sovviene alla mente parlando di due città che hanno cullato la civiltà moderna e ne hanno posto le relative basi. Storici e filosofi che hanno forgiato la mente di noi poveri comuni mortali, contribuiscono poi a rendere immemorabile e ricca di un fascino millenario la semplice parola "Grecia".
In questo contesto inserite un'ultramaratona che trae spunto dal mito. Da Atene a Sparta.
La leggenda narra che Filippide percorse il tragitto da Atene a Sparta con una richiesta di aiuto per fronteggiare l'invasione persiana. Gli Spartani, però, si rifiutarono di schierarsi dalla parte degli Attici credendo in una sicura sconfitta e confidando in un loro successivo predominio in tutta la Grecia.
Così non andò.
Gli Ateniesi, come ben sapete, sconfissero i Persiani nella battaglia di Maratona e Filippide corse da Maratona ad Atene per annunciare la vittoria e spirare subito dopo.
Se volete cimentarvi con (o contro, a seconda dei punti di vista) la storia dovete correre i 246 chilometri della "Spartathlon", attraversando l'istmo di Corinto, la piana di Argo ed i monti dell'Arcadia. L'arrivo è ai piedi della statua di re Leonida.
È con queste premesse che Loris De Paola ha preso parte a questa ultramaratona internazionale.
Loris De Paola, trentanovenne podista santarcangiolese dell'Olimpia Nuova Running Poggio Berni, ha portato a termine una delle corse più massacranti al mondo, la Sparta-Atene, coprendo quasi duecentocinquanta chilometri in 35 ore e 40 minuti, quando il "fuori tempo massimo", cioè l'esclusione dalla classifica, era fissato in trentasei ore. De Paola è rimasto dunque entro i termini stabiliti dagli organizzatori e la soddisfazione è stata immensa.
"Fin qui la corsa più lunga alla quale avevo partecipato era stata la 'Nove colli running', prova affrontata e conclusa lo scorso anno. Duecentodue chilometri ultimati in 29 ore e 29 minuti, un tempo che non posso dimenticare", attacca Loris, che nella vita di tutti i giorni, quando non macina chilometri su chilometri per le strade romagnole, si divide tra un lavoro in un supermercato e la gestione di una piadineria insieme ad un socio.
"È stata un'avventura bellissima, meravigliosa" prosegue Loris. "Siamo partiti alle sette del mattino dall'Acropoli di Atene. Praticamente all'alba. Attorno al quarantacinquesimo chilometro ho accusato un crampo e sono caduto in ginocchio per terra. Sono piombati subito quelli del servizio di gara e mi volevano mandare a casa. Ma io non ci pensavo neppure. Ho chiesto un paio di minuti per riprendermi, dopo di che mi sono rimesso in moto". In una competizione così dura, resa ancor più complicata dal caldo - sul percorso abbiamo toccato anche i 35° - le difficoltà sono sempre dietro l'angolo.
"Ma il mio momento più nero, il peggio, è stata la crisi di sonno verso le sei e mezzo della mattina del secondo giorno. Mi si chiudevano letteralmente gli occhi. Ho passato un paio d'ore terribili, ma sono andato avanti, non ho smesso di correre. E in testa, chiaramente, mi ronzavano mille pensieri. La volontà però era di non cedere, di andare avanti. Sapevo di essere a posto fisicamente: d'altronde era dallo scorso febbraio che mi preparavo per questo appuntamento, avevo più di millecinquecento chilometri di allenamenti nelle gambe. Ed il mio assistente, Andrea Martignoni, era lì a sostenermi".
Chilometro dopo chilometro il traguardo si avvicina. "Nonostante un polpaccio indurito, gli ultimi cinquecento metri sono stati storici, indimenticabili: c'erano centinaia di persone. Siamo passati in mezzo a questo tunnel di gente che ci incitava, ci applaudiva. Io sono arrivato insieme ad altri due italiani, Lodovico Lodi e Giuseppe Cialdini, con il tricolore in mano. È un'immagine che mi accompagnerà per tutto il resto della mia vita".